Le Medie Imprese italiane: dati e fattori di sviluppo
Le Medie Imprese italiane: dati e fattori di sviluppo
Nel panorama economico italiano, le medie imprese, con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 499 e un fatturato da 17 a 370 milioni di euro, hanno mantenuto una sorprendente stabilità nell’ultimo quarto di secolo. Nel 1996, erano 3.378, un numero che è cresciuto solo moderatamente a 3.660 nel 2021. Tuttavia, la vera chiave del successo per queste aziende sembra risiedere nella sinergia tra il capitale strategico e l’adozione precoce delle transizioni ecologiche e digitali. Questi dati emergono con chiarezza dal XXII Rapporto congiunto dell’Area Studi di Mediobanca, Unioncamere e del Centro Studi Tagliacarne.
Tra le imprese analizzate, quelle che si sono dimostrate più resilienti sono state quelle che hanno accolto con determinazione la trasformazione digitale ed ecologica sin dalle prime fasi di sviluppo.
Il Rapporto mette in evidenza che, tra i cinque fattori considerati cruciali per lo sviluppo futuro, il capitale umano è stato ritenuto il più importante, composto da competenze tecniche, manageriali e relazionali. Al secondo posto, troviamo il capitale tecnico, comprendente l’equipaggiamento aziendale, anche se vi è una differenza di opinioni tra le medie imprese e le medio-grandi. Quest’ultime attribuiscono maggior importanza al capitale conoscitivo, che include brevetti e innovazioni, dove la dimensione aziendale sembra giocare un ruolo fondamentale.
Le medie imprese e le medio-grandi aziende differiscono anche nella percezione del capitale finanziario, che assume una maggiore rilevanza per le prime. Infine, il capitale organizzativo, ossia gli strumenti di governance, è considerato di minor peso da entrambe le categorie, sebbene rappresenti spesso il punto debole delle aziende a conduzione familiare.
Il capitale umano richiede un costante investimento nella formazione. Tuttavia, le aziende sembrano concentrarsi maggiormente sulla formazione tradizionale dei dipendenti, mentre riservano meno attenzione all’apprendimento disruptive come il re-skilling (56%) o la formazione manageriale finalizzata all’innovazione del modello di business (35%).
Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria, commenta: “Il 76% delle medie imprese punta all’upskilling dei propri dipendenti entro il 2025, anche attraverso i fondi interprofessionali. Si tratta di aziende pronte ad affrontare i cambiamenti in atto, che investono nella formazione e trattengono i talenti attraverso flessibilità oraria, autonomia organizzativa, benefit e incrementi salariali, oltre a una maggiore condivisione dei processi decisionali.”
In un contesto demografico in calo, con una tendenza destinata a perdurare, le imprese possono svolgere un ruolo chiave. Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, afferma: “Ci troviamo di fronte a una glaciazione demografica, con un milione di giovani persi in Italia negli ultimi quattro anni. Le aziende possono fare molto, ma devono essere capaci di gestire cinque diverse generazioni all’interno dell’azienda, ognuna con esigenze specifiche.”
Un altro fattore cruciale per la crescita delle medie imprese è la doppia transizione ecologica e digitale. Per espandersi e contribuire allo sviluppo economico del Paese, è necessaria una profonda trasformazione culturale e un cambio di paradigma.
Il rapporto rivela che il 40% delle medie imprese ha investito nella Duplice Transizione (DT) nel triennio 2020-22, con un quarto di esse (24%) che avvierà questo percorso solo a partire dal 2023-25. Tuttavia, le medie imprese gestite da famiglie sembrano esitare maggiormente (il 30% non ha investito né intende farlo, contro il 21% delle medie imprese con manager esterni).
Federico Visentin, Presidente e ad di Mevis (azienda di componenti metallici) e Presidente di Federmeccanica, dichiara: “Gli imprenditori devono prendere coscienza che è necessario ricorrere a fusioni, acquisizioni o creare alleanze per fare un salto dimensionale. In questo senso, lo Stato potrebbe facilitare tali processi aggregativi attraverso agevolazioni fiscali.”
Tuttavia, il vero vantaggio competitivo per le medie imprese risiede nella combinazione sinergica di questi due fattori: i capitali strategici e la Duplice Transizione. Come afferma Nuccio Caffo, ad del Gruppo Caffo: “Per far fronte alla mancanza di risorse specifiche e di percorsi formativi adeguati, abbiamo investito nella formazione dei figli dei dipendenti, molti dei quali hanno preso il posto dei genitori pensionati. Sul fronte della transizione, abbiamo applicato tutto ciò che era applicabile con la tecnologia 4.0, automatizzando i processi con la robotica e informatizzando le fasi di lavorazione dei prodotti. Da sempre investiamo nell’energia solare e abbiamo adottato un sistema di economia circolare. Agli imprenditori dico: guardate a chi ce l’ha fatta.”
PMI Tutoring sta supportando diverse aziende che richiedono liquidità per investire nel fattore umano o nella “duplice transazione”. Sono investimenti importanti per rimanere competitivi sul mercato e che richiedono una visione imprenditoriale e solidi business plan. Ricorrere ai nostri consulenti del credito fa spesso la differenza per impostare piani di investimento che sono, spesso, di medio periodo e che richiedono di parlare lo stesso linguaggio dell’interlocutore bancario.
Nel panorama economico italiano, le medie imprese, con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 499 e un fatturato da 17 a 370 milioni di euro, hanno mantenuto una sorprendente stabilità nell’ultimo quarto di secolo. Nel 1996, erano 3.378, un numero che è cresciuto solo moderatamente a 3.660 nel 2021. Tuttavia, la vera chiave del successo per queste aziende sembra risiedere nella sinergia tra il capitale strategico e l’adozione precoce delle transizioni ecologiche e digitali. Questi dati emergono con chiarezza dal XXII Rapporto congiunto dell’Area Studi di Mediobanca, Unioncamere e del Centro Studi Tagliacarne.
Tra le imprese analizzate, quelle che si sono dimostrate più resilienti sono state quelle che hanno accolto con determinazione la trasformazione digitale ed ecologica sin dalle prime fasi di sviluppo.
Il Rapporto mette in evidenza che, tra i cinque fattori considerati cruciali per lo sviluppo futuro, il capitale umano è stato ritenuto il più importante, composto da competenze tecniche, manageriali e relazionali. Al secondo posto, troviamo il capitale tecnico, comprendente l’equipaggiamento aziendale, anche se vi è una differenza di opinioni tra le medie imprese e le medio-grandi. Quest’ultime attribuiscono maggior importanza al capitale conoscitivo, che include brevetti e innovazioni, dove la dimensione aziendale sembra giocare un ruolo fondamentale.
Le medie imprese e le medio-grandi aziende differiscono anche nella percezione del capitale finanziario, che assume una maggiore rilevanza per le prime. Infine, il capitale organizzativo, ossia gli strumenti di governance, è considerato di minor peso da entrambe le categorie, sebbene rappresenti spesso il punto debole delle aziende a conduzione familiare.
Il capitale umano richiede un costante investimento nella formazione. Tuttavia, le aziende sembrano concentrarsi maggiormente sulla formazione tradizionale dei dipendenti, mentre riservano meno attenzione all’apprendimento disruptive come il re-skilling (56%) o la formazione manageriale finalizzata all’innovazione del modello di business (35%).
Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria, commenta: “Il 76% delle medie imprese punta all’upskilling dei propri dipendenti entro il 2025, anche attraverso i fondi interprofessionali. Si tratta di aziende pronte ad affrontare i cambiamenti in atto, che investono nella formazione e trattengono i talenti attraverso flessibilità oraria, autonomia organizzativa, benefit e incrementi salariali, oltre a una maggiore condivisione dei processi decisionali.”
In un contesto demografico in calo, con una tendenza destinata a perdurare, le imprese possono svolgere un ruolo chiave. Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, afferma: “Ci troviamo di fronte a una glaciazione demografica, con un milione di giovani persi in Italia negli ultimi quattro anni. Le aziende possono fare molto, ma devono essere capaci di gestire cinque diverse generazioni all’interno dell’azienda, ognuna con esigenze specifiche.”
Un altro fattore cruciale per la crescita delle medie imprese è la doppia transizione ecologica e digitale. Per espandersi e contribuire allo sviluppo economico del Paese, è necessaria una profonda trasformazione culturale e un cambio di paradigma.
Il rapporto rivela che il 40% delle medie imprese ha investito nella Duplice Transizione (DT) nel triennio 2020-22, con un quarto di esse (24%) che avvierà questo percorso solo a partire dal 2023-25. Tuttavia, le medie imprese gestite da famiglie sembrano esitare maggiormente (il 30% non ha investito né intende farlo, contro il 21% delle medie imprese con manager esterni).
Federico Visentin, Presidente e ad di Mevis (azienda di componenti metallici) e Presidente di Federmeccanica, dichiara: “Gli imprenditori devono prendere coscienza che è necessario ricorrere a fusioni, acquisizioni o creare alleanze per fare un salto dimensionale. In questo senso, lo Stato potrebbe facilitare tali processi aggregativi attraverso agevolazioni fiscali.”
Tuttavia, il vero vantaggio competitivo per le medie imprese risiede nella combinazione sinergica di questi due fattori: i capitali strategici e la Duplice Transizione. Come afferma Nuccio Caffo, ad del Gruppo Caffo: “Per far fronte alla mancanza di risorse specifiche e di percorsi formativi adeguati, abbiamo investito nella formazione dei figli dei dipendenti, molti dei quali hanno preso il posto dei genitori pensionati. Sul fronte della transizione, abbiamo applicato tutto ciò che era applicabile con la tecnologia 4.0, automatizzando i processi con la robotica e informatizzando le fasi di lavorazione dei prodotti. Da sempre investiamo nell’energia solare e abbiamo adottato un sistema di economia circolare. Agli imprenditori dico: guardate a chi ce l’ha fatta.”
PMI Tutoring sta supportando diverse aziende che richiedono liquidità per investire nel fattore umano o nella “duplice transazione”. Sono investimenti importanti per rimanere competitivi sul mercato e che richiedono una visione imprenditoriale e solidi business plan. Ricorrere ai nostri consulenti del credito fa spesso la differenza per impostare piani di investimento che sono, spesso, di medio periodo e che richiedono di parlare lo stesso linguaggio dell’interlocutore bancario.